Diploma delle Abbazie Italiane
 
 
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 CHIESETTA DI SAN VITO IN COLLE

DAI-VN0722

COL SAN VITO (BL)

JN56XB

vedi posizione

 

 

Attivazione effettuata il 25 e 29 Giugno 2015

 

Col San Vito è una piccolissima frazione di Cesiomaggiore che dista circa 1 chilometro dal capoluogo ed è posta ad un'altitudine di 476 metri sul livello del mare.

La Chiesetta frazionale, dedicata a San Vito, sorge alla sommità del colle, in una posizione incantevole, costruita sulle rovine di un castello o di una torre, probabilmente tra il 1200 ed il 1300. Tuttavia i primi dati storici scritti risalgono alla visita Pastorale del Vescovo Rovellio del 1585.
Restauri effettuati nel 1995 hanno portato alla luce alcuni affreschi fra i quali lo stemma della famiglia Muffoni, una delle famiglie nobili più importanti e conosciute del territorio, diretta discendente della Gens Coesia di Roma. Muffoni erano i castellani sia di Cesio Maggiore sia di Cesio Minore ed erano i più importanti feudatari della pieve cesiolina.

L’interno della chiesetta è ad aula unica con la navata a capriate scoperte ed il presbiterio a volta. L’altare è in legno intagliato e dipinto con una tela raffigurante il Santo con l’imperatore Diocleziano attribuita a Girolamo Turro. Sopra l'unica a porta, posta sulla facciata,  campeggia uno stemma in pietra della famiglia Bellati, ormai piuttosto rovinato.

Vito, secondo la tradizione, sarebbe nato nel  III secolo a Mazara del Vallo in una ricca famiglia. Rimasto orfano della madre, fu affidato ad una nutrice Crescenzia e poi al pedagogo Modesto, che essendo cristiani lo convertirono alla loro fede.
Aveva circa sette anni, quando cominciò a fare prodigi e quando nel 303 scoppiò in tutto l’impero romano, la persecuzione di Diocleziano contro i cristiani, Vito era già molto noto nella zona di Mazara. Il padre non riuscendo a farlo abiurare, lo denunziò al preside Valeriano, che ordinò di arrestarlo. Poi con minacce e lusinghe, questi tentò di farlo abiurare, anche con l’aiuto degli accorati appelli del padre, ma senza riuscirci.
Visto l’inutilità dell’arresto, il preside lo rimandò a casa, allora il padre tentò ancora in vari modi di farlo abiurare, ma Vito fu irremovibile e quando Valeriano stava per farlo arrestare di nuovo, un angelo apparve a Modesto, ordinandogli di partire su una barca con il ragazzo e la nutrice. Durante il viaggio per mare, un’aquila portò loro acqua e cibo, finché sbarcarono alla foce del Sele sulle coste del Cilento, inoltrandosi poi in Lucania.
Vito continuò ad operare miracoli tanto da essere considerato un vero e proprio taumaturgo, testimoniando insieme ai due suoi accompagnatori, la sua fede con la parola e con i prodigi, finché non venne rintracciato dai soldati di Diocleziano, che lo condussero a Roma dall’imperatore che l’aveva fatto cercare per mostrargli il figlio, suo coetaneo, ammalato di epilessia, malattia che all’epoca era molto impressionante, tale da considerare l’ammalato un indemoniato.
Non ostante questo, Diocleziano, sottopose lui, Modesto e Crescenzia ad una serie infinita di torture che li portarono alla morte il 15 Giugno 303.

San Vito è protettore dei danzatori, degli epilettici, dei muti e dei sordi ed anche dei calderai, dei ramai e dei bottai. È invocato contro il bisogno eccessivo di sonno e la catalessi, ma anche contro l’insonnia ed i morsi di bestie velenose, dei cani rabbiosi e l’ossessione demoniaca.

Viene ricordato dalla liturgia il 15 di Giugno, giorno della sua morte.

 

La Chiesa di San Vito con il Pizzocco sullo sfondo La facciata Resti di bugnato dipimto Stemma della famiglia Bellati

 

 


 

 

 

 


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